The Story of Stuff – La storia delle cose

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Ogni giorno usiamo e maneggiamo centinaia di oggetti, ma cosa c’è dietro?

E’ giusta la catena Materie Prime –> Produzione –> Acquisto/Vendita –> Uso –> Smaltimento ??

C’è qualcosa che dobbiamo considerare? Con questi interrogativi, vi propongo il video “The story Of Stuff” tradotto in italiano e segnalatomi da Luca.

Gli scettici vorranno la documentazione, i dati a suffragio di quanto detto. Vi invito, a tal proposito a visitare il sito www.storyofstuff.com e magari diffonderne il materiale informativo.

Gli spunti di riflessione sono molteplici, potremmo discuterne per mesi, gli argomenti sono di interesse globale e dovrebbero toccare la sensibilità (e risvegliare un innovativo modo di pensare) di ognuno di noi.

Uno spunto di riflessione potrebbe essere. Se i primi a cambiare il modo di pensare fossero coloro che si occupano di Marketing, potrebbe funzionare un modello di Ethical Marketing, incentrato sui valori descritti nel video? Quale appeal avrebbe un prodotto “etico” supportato da un marketing di larga scala e magari appoggiato dai media (che ora si stanno decisamente rivoluzionando in considerazione delle nuove tecnologie)?

Io la pietra nello stagno l’ho lanciata, curioso di vedere quanti cerchi riesce a fare nell’acqua.

Apriamo il dibattito, i commenti sono tutti per voi.

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3 commenti su “The Story of Stuff – La storia delle cose”

  1. E’ bello, ma perchè spesso si utilizza questo taglio decisamente poco (come si usa dire adesso) “assertivo”?
    Il marcato utilizzo di denotazioni negative e schierate aliena l’attenzione di molte persone, stufe di concetti strumentalizzati e triti quali “governo guerrafondaio”, “multinazionali”…
    Perchè non attenersi solo ai fatti, a partire da quelli che riguardano NOI, i consumatori? Sono già abbastanza terrificanti e convincenti, senza “sgravarli” da parte della loro importanza tirando in ballo entità colpevoli, di sicuro, ma un pò astratte e meno tangibili come quelle che ho citato.

    Condivido invece appieno l’osservazione sulla necessità di rifondare i principi del marketing alla fonte, proprio a partire dalle aziende e da chi si occupa di marketing in esse. General Electric ha lanciato una campagna che tocca tutti gli aspetti del suo business (dalla R&D, alle vendite alla comunicazioni sui media) chiamata “Ecomagination”. Ogni business del colosso americano deve impegnarsi a produrre entro 3 anni prodotti ecocompatibili e cambiare i suoi processi interni per consumare meno e avere un impatto positivo sulle comunità in cui è presente. Segnale che anche le stesse (OK: cattive, brutte e puzzolenti) multinazionali devono guidare il cambiamento economico/ecologico verso cui tutti dovremmo tendere da subito, per rimanere competitive?

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  2. Siamo proprio NOI consumatori, che dovremmo cambiare mentalità, o modalità di acquisto. Se fossero i media, il marketing orientato da multinazionali ecologiche? Non mi piacciono le etichette Multinazionale=Brutta&Cattiva. Purtroppo è la realtà dei fatti che ha affibbiato loro questo ruolo.

    Le rivoluzioni partono dal basso… ma può partire una rivoluzione dal basso, quando il popolo dei consumatori è asservito al “Dio consumismo”? Scomodiamo allora un’altro mostro sacro: il Marketing. Orientiamolo verso un consumo etico, facciamo leggi che garantiscano ancora più trasparenza (perchè no, magari anche sulla citata “esternalizzazione dei costi…), e magari il consumo intelligente, farà cambiare il modo di produrre…

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  3. Robert Kennedy, 18 Marzo 1968 Kansas University

    «Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL). Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani.»

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